Articolo pubblicato sul sito dello Studio Legale Scuderi-Motta

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La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la recente ordinanza numero 28330 del 4 novembre 2024, ha affermato importanti princìpi in materia di concorsi per l’accesso al pubblico impiego, in particolare soffermandosi sull’esistenza o meno del diritto del soggetto posizionato in posizione utile in graduatoria ad essere assunto dalla P.A. nonché sulla validità o meno di eventuali clausole contenute nel bando di concorso che consentano all’amministrazione di non procedere all’assunzione del vincitore.

Il caso di specie

La vicenda trae origine dal ricorso proposto innanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Potenza dal vincitore di un concorso pubblico bandito da un Comune per l’assunzione a tempo indeterminato come operatore di Polizia Municipale.

Il ricorrente in particolare lamentava che, nonostante si fosse classificato primo in graduatoria, l’amministrazione non lo aveva assunto, nonostante plurimi solleciti inviati dal ricorrente dopo l’approvazione della graduatoria.

Chiedeva quindi che il Comune venisse condannato a procedere alla sua assunzione e a risarcire i danni subiti.

Sia in primo che in secondo grado, il ricorso veniva rigettato sulla scorta del fatto che il bando di concorso conteneva una clausola che riservava al Comune la facoltà di non procedere all’assunzione.

I Giudici in particolare rilevavano sul punto che il ricorrente, nel partecipare al concorso, aveva accettato la clausola medesima, senza eccepirne la nullità.

La mancata assunzione, poi, sarebbe stata da ricondurre a delibere con le quali l’amministrazione comunale aveva dato atto dell’assenza di risorse per dar corso all’assunzione, senza che tali delibere fossero state impugnate dal ricorrente in sede amministrativa.

Il ricorso innanzi alla Corte di Cassazione

Il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza negativa della Corte d’Appello, articolando sei specifiche censure.

A) Con il primo e quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduceva che:

– la clausola del bando che consentiva al Comune di non procedere all’assunzione, era qualificabile come meramente potestativa e pertanto nulla ai sensi dell’articolo 1355 del codice civile;

– il Giudice di prime e seconde cure, dunque, ben avrebbero potuto dichiararne d’ufficio la nullità ai sensi dell’articolo 1421 del codice civile;

– per non considerare che in ogni caso, con la partecipazione al concorso, l’offerta al pubblico in cui si sostanziava il bando medesimo non era più revocabile ai sensi dell’articolo 1336 del codice civile.

B) Con il secondo e terzo motivo, deduceva che:

– le Corti territoriali avevano fatto malgoverno del pacifico principio per cui il superamento di un concorso pubblico determina in capo all’Amministrazione che ha pubblicato il bando di concorso un obbligo di assunzione ex articolo 1218 del codice civile;

– alla luce di tale principio, le delibere con le quali il Comune aveva destinato diversamente le proprie risorse economiche integravano una vera e propria impossibilità della prestazione ai sensi del medesimo articolo 1218, deducendo peraltro sul punto che i vincoli di spesa nazionali in materia di personale dipendente degli Enti Locali, vigenti negli anni tra il 2014 e il 2016, non impedivano in concreto le assunzioni a tempo indeterminato, ma imponevano al controricorrente di contenere le assunzioni di personale a tempo indeterminato e determinato entro il budget prestabilito, con priorità all’assunzione dei vincitori di concorso collocati nelle graduatorie vigenti;

– il ricorrente non aveva comunque l’onere di impugnare in sede amministrativa le delibere del Comune con le quali si dava atto dell’assenza di adeguate risorse economiche per procedere all’assunzione in quanto, trattandosi di controversia tra privato e P.A. datore di lavoro, rientrava nei poteri della Corte territoriale quello di esaminare i provvedimenti al rapporto di lavoro contrattualizzato, nonché di disapplicare gli atti amministrativi presupposti.

C) Col quinto e sesto motivo di ricorso, deduceva la nullità della sentenza impugnata per la violazione degli artt. 101, 112, 345 c.p.c. e del principio del contraddittorio in merito alla nullità della clausola contenuta nel bando, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c. e del principio iura novit curia, avendo censurato nel proprio atto di appello la legittimità – e quindi la validità della clausola – ma che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su di essa.

La pronuncia dei Giudici di Legittimità

La Suprema Corte, con la decisione in rassegna, analizza in primo luogo i motivi primo e quarto del ricorso, ritenendoli fondati.

Invero, è principio pacifico (e peraltro richiamato dalla decisione impugnata) quello per cui “…in tema di concorsi nel pubblico impiego privatizzato, l’approvazione della graduatoria è, ad un tempo, provvedimento terminale del procedimento concorsuale e atto negoziale di individuazione del contraente, da ciò discendendo, per il partecipante collocatosi in posizione utile, il diritto all’assunzione e, per l’amministrazione che ha indetto il concorso, l’obbligo correlato, soggetto al regime di cui all’art. 1218 c.c., sicché, in caso di ritardata assunzione, spetta al vincitore del concorso il risarcimento del danno salvo che l’ente pubblico dimostri che il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa ad esso non imputabile..” (cfr. anche sul punto Cass. Sez. L, Sentenza n. 1399 del 20/01/2009; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 9807 del 14/06/2012; Cass. Sez. L – Sentenza n. 8476 del 31/03/2017).

La Corte nella specie, ha ritenuto non coerente il ragionamento condotto dalla Corte d’Appello laddove essa ha rilevato che l’eventuale nullità della clausola del bando non avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio, a causa della “generica deduzione del danno patrimoniale dedotto”.

Si tratta infatti di una evidente sovrapposizione di “…profili nettamente distinti, quali sono, da un lato, la validità della clausola di riserva apposta nel bando e, dall’altro lato, an e quantum del danno da ritardata assunzione…”.

Con la conseguenza che “…eventuali carenze in ordine a tale ultimo profilo non erano e non sono in grado di giustificare l’omesso rilievo d’ufficio di una clausola che la stessa decisione impugnata ammette – almeno ipoteticamente – essere nulla, atteso che la statuizione in ordine alla illegittimità della clausola – e del conseguente diniego o ritardo di assunzione – costituiva un prius logico-giuridico della domanda risarcitoria e si presentava comunque come distinto e autonomo, trattandosi in ogni caso di verificare la legittimità della ritardata assunzione e il diritto del ricorrente alla medesima, al di là della presenza o meno di un danno…”.

Risolto tale profilo, la Corte affronta direttamente il tema della validità o meno della clausola in questione, rammentando in primo luogo che costituisce principio pacifico quello per cui “…il potere di approvare la graduatoria finale è attribuito alla P.A. dal bando esclusivamente in funzione del controllo della regolarità e della verifica dell’esito della procedura, dovendosi ritenere inammissibile una clausola che condizioni l’assunzione alle successive determinazioni dell’ente circa la necessità di procedere all’assunzione medesima e del tutto inefficace, in assenza di un contrarius actus, la volontà dell’amministrazione di annullare o revocare il bando, in quanto l’autotutela risulta esercitata in carenza di potere e con atti, sotto il profilo sostanziale, affetti da nullità per difetto dell’elemento essenziale della forma e tali, quindi, da giustificare la disapplicazione da parte del giudice (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23327 del 04/11/2009, ma si veda anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 8951 del 16/04/2007)...”.

La Suprema Corte afferma poi che il distinguo operato dalla Corte territoriale tra clausole di riserva inserite nel bando e clausole di riserva inserite nel provvedimento di approvazione della graduatoria non assume rilevanza e che i princìpi appena richiamati debbano trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui la clausola di riserva sia inserita nel bando di concorso.

Invero, il bando di concorso ha una “…duplice natura giuridica – di provvedimento amministrativo, quale atto del procedimento di evidenza pubblica (del quale regola il successivo svolgimento) e di atto negoziale, in quanto proposta al pubblico sia pure condizionata all’espletamento della procedura concorsuale e all’approvazione della graduatoria …con la conseguente nullità di eventuali clausole “si voluero”…”.

Tali clausole si tradurrebbero quindi nella possibilità per l’Amministrazione di operare una revoca sostanziale del bando di concorso, con i contenuti sostanziali di un contrarius actus, ma senza il rispetto dei necessari requisiti formali, nonché di esercitare ulteriormente una forma sostanziale di autotutela in una situazione di carenza di potere, essendo ormai insorta, dopo l’approvazione della graduatoria, una vera e propria obbligazione di procedere all’assunzione del vincitore del concorso.

Irrilevante sul punto è la presunta tacita accettazione della clausola da parte del singolo candidato nel momento in cui venga a partecipare al concorso “…atteso che tale ipotetica accettazione non varrebbe in ogni caso a consolidare l’esercizio illegittimo di una facoltà riconosciuta da una clausola da ritenersi affetta da nullità…”.

In conclusione, pertanto, “…il diniego o ritardo dell’Amministrazione nel procedere all’assunzione del vincitore di una procedura concorsuale non possa trovare legittima giustificazione nella presenza, all’interno del bando, di una “clausola di riserva” che consenta alla stessa Amministrazione di non procedere comunque all’assunzione, dovendosi ritenere tale clausola nulla, in quanto tale da integrare una mera facoltà discrezionale di annullare o revocare il bando, tale da integrare un contrarius actus illegittimo – e come tale passibile di disapplicazione da parte del giudice ordinario – in quanto privo dei requisiti di forma e integrante una forma di autotutela esercitata in carenza di potere, in virtù dell’insorgere del diritto del vincitore del concorso ad essere assunto, ormai regolato dal disposto di cui all’art. 1218 c.c…”.

Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso sono stati ritenuti fondati, avendo ritenuto la Suprema corte che il ricorrente non aveva alcun onere di impugnare in sede amministrativa le delibere del Comune.

Una differente ricostruzione infatti “…cozza direttamente con la regola di cui all’art. 63, comma 1, D. Lgs. n. 165/2001, avendo questa Corte già chiarito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23327 del 04/11/2009) che la procedura concorsuale termina con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, spettando allora alla giurisdizione ordinaria il sindacato, da esplicare con la gamma dei poteri cognitori del giudice civile, sui comportamenti successivi, riconducibili alla fase di esecuzione, in senso lato, dell’atto amministrativo presupposto…”.

Ne consegue che “…il profilo della legittimità o meno delle delibere del controcorrente ben poteva essere affrontato e valutato dal giudice ordinario, eventualmente anche disapplicando l’atto amministrativo ove si fosse rilevato che lo stesso veniva a ledere la posizione di diritto soggettivo del vincitore di concorso…”.

La Corte in conclusione, assorbiti gli ultimi motivi di ricorso, lo ha accolto, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, disponendo che essa “…nel conformarsi ai princìpi qui richiamati, provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità…”.

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