Nota a sentenza pubblicata sul sito dello Studio Legale Scuderi-Motta
****
La Sezione Prima-Ter del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio di Roma, con la recentissima sentenza del 3 marzo 2022 numero 2541, si è pronunciata in merito ai presupposti di legittimità dell’agire amministrativo in relazione ai provvedimenti di revoca delle autorizzazioni amministrative in materia di armi, enunciando – tra l’altro – importanti principi in merito alla ineludibilità delle garanzie partecipative che l’amministrazione è tenuta a rispettare anche negli atti a natura vincolata ed alla coerenza dell’agire amministrativo.
La fattispecie oggetto del giudizio.
Nella fattispecie esaminata, il TAR Lazio si è occupato di vagliare la legittimità del provvedimento con il quale la Questura di Roma aveva revocato al ricorrente la licenza di porto di fucile per uso caccia.
Il provvedimento di revoca, in particolare, si basava sul giudizio negativo formulato dal Questore “sulla sussistenza dell’imprescindibile requisito della buona condotta e della capacità di abusare delle armi“, riferito a pregresso un episodio “violento” che avrebbe visto protagonista il ricorrente.
Il provvedimento di revoca tuttavia, non veniva preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 della Legge 241 del 1990 nei confronti del privato. Ciò che l’amministrazione giustificava attesa la “..sussistenza di circostanze che impongono l’adozione del presente provvedimento, il cui contenuto non può differenziarsi da quello in concreto adottato così come previsto dall’art. 21 octies, comma due, seconda ipotesi della L. 241/90..”.
Parallelamente al provvedimento oggetto di impugnazione, veniva altresì aperto nei confronti del ricorrente un ulteriore procedimento finalizzato alla revoca della licenza per il porto di armi comuni da sparo, per il quale invece la Questura procedeva all’invio della comunicazione di avvio del procedimento ed a seguito della quale – dopo il contraddittorio in tal modo instaurato – il procedimento veniva archiviato.
I motivi dedotti in ricorso e la decisione del TAR
Il ricorrente impugnava il provvedimento di revoca della licenza al porto di fucile per uso caccia deducendone l’illegittimità per violazione delle garanzie partecipative, dei principi del giusto procedimento, di imparzialità, buon andamento e di leale collaborazione tra pubblico e privato, nonché per eccesso di potere per travisamento dei presupposti, ingiustizia manifesta ed illogicità.
Il TAR capitolino – nell’accogliere il ricorso nei limiti che di seguito si precisano – ha enunciato una serie di interessantissimi principi di carattere generale, che di seguito si passano in rassegna.
1) In primo luogo, ed in via generale, il Collegio ha ricordato che i provvedimenti di rilascio e revoca del porto d’armi hanno carattere discrezionale e che la ratio posta alla base dell’articolo art. 11 del Regio Decreto numero 773 del 1931 (ai sensi del quale le autorizzazioni in materia di armi “..devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanza che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”) risiede nell’opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto di armi permangano nella titolarità di soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul corretto loro uso, potendo costituire un pericolo per l’incolumità e per l’ordine pubblico.
Precisata quindi la natura discrezionale dei provvedimenti di rilascio e revoca del porto d’armi, il Tribunale ha però ricordato che ai fini dell’emissione di un giudizio di negativa affidabilità “..è tuttavia necessario, secondo l’indirizzo interpretativo in esame, che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, vale a dire idonei ad evidenziare una personalità violenta, incline a risolvere situazioni di conflittualità anche con ricorso alle armi, o, in ipotesi, in grado di attentare all’altrui patrimonio con uso di armi ed in sintesi che, nell’ottica di una prognosi ex ante, non diano garanzia di un corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale (ex multis Cons. St., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 5129)…”.
Ha inoltre chiarito che – come precisato anche dalla Corte Costituzionale – la disposizione sopra riportata deve essere interpretate nel senso che “..alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini della revoca delle licenze di pubblica sicurezza può riconoscersi al fatto di essere iscritti nel registro degli indagati ovvero di aver riportato condanna in sede penale, attesa la necessità di procedere ad una concreta prognosi, che tenga conto di una serie di circostanze, quali l’epoca a cui risale la condotta contestata, i reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale (Corte Cost. n. 331 del 1996, cfr.anche, ex multis, Cons. Stato, n. 5095 del 2012 e n. 4630 del 2011)…”.
Sicché, nei casi di paventata revoca dei provvedimenti autorizzativi al porto delle armi, l’amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha non solo l’obbligo di considerare e valutare tutti gli interessi presenti in una determinata fattispecie, ma anche, e ancora prima, l’obbligo di conoscere e valutare i fatti su cui gli interessi si fondano e da cui scaturiscono.
Sicché “..non è sufficiente la mera enunciazione astratta dell’asserita ricorrenza dei presupposti di fatto legittimanti l’adozione di un provvedimento, dovendo l’amministrazione fornire adeguata prova di essi (ex pluribus Consiglio di Stato sezione IV del 15 novembre 2004 n. 7429)…”.
2) Sotto altro fondamentale aspetto, il Tribunale ha poi ribadito l’esigenza che – anche nei provvedimenti a carattere vincolato – vengano rispettate dall’amministrazione le garanzie partecipative previste dalla legge, e venga quindi sempre consentita ai privati la partecipazione al procedimento.
Sul punto, il Collegio ha in primo luogo evidenziato che, proprio al fine di colmare eventuali lacune nella ricostruzione dei fatti posti a sostegno delle scelte amministrative, va predicato il principio di diritto secondo cui “..anche la natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato numero 6288/2021)…”.
In particolare, il TAR ha rilevato che “..la natura vincolata degli atti impugnati non costituisce valido motivo per omettere il rispetto delle garanzie partecipative in situazioni peculiari e giuridicamente complesse come quella in questione..”, aggiungendo di condividere anche l’orientamento di quella giurisprudenza “più avveduta” secondo cui “..l’obbligo di avviso dell’avvio sussiste anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della condivisibile considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. C.d.S. sez. VI 20.4.2000 n. 2443; C.d.S. 2953/2004; 2307/2004 e 396/2004)…”.
Se ne conclude che “..è illegittimo il provvedimento vincolato emesso senza che sia stata offerta al destinatario dello stesso provvedimento la preventiva “comunicazione di avvio del procedimento” ex art. 7 l. n. 241/1990, ove dal giudizio emerga che l’omessa comunicazione del procedimento avrebbe consentito al privato di dedurre le proprie argomentazioni, idonee a determinare l’emanazione di un provvedimento con contenuto diverso” (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 26/08/2020, n.750)…”.
Sulla scorta di condivisibili considerazioni – che valorizzano fortemente, nell’ottica di un diritto amministrativo “tendenzialmente” paritario, il contraddittorio endoprocedimentale – il TAR ha ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca impugnato nel caso di specie, in cui la mancata comunicazione di avvio del procedimento ha impedito al ricorrente di esercitare le proprie facoltà difensive e partecipative.
Ciò che peraltro risultava ulteriormente avvalorato dalla circostanza per cui, nella fattispecie in esame, non a caso i paralleli procedimenti di revoca delle licenze per l’utilizzo delle armi per uso caccia e di armi comuni da sparo erano giunti a diverso esito (in particolare, nel caso del procedimento finalizzato a revocare la licenza per il porto di armi comuni da sparo, l’amministrazione ha deciso di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale ed il procedimento di revoca non è mai giunto all’adozione del provvedimento di revoca; mentre nel caso all’esame del Collegio, rispetto al quale vi è stata l’omissione della comunicazione di avvio, l’esito è stato diametralmente opposto).
3) Altro profilo di rilievo esaminato dal TAR è quello della contraddittorietà dell’agire amministrativo.
Sul punto, il Tribunale ha rimarcato la differenza tra l’ipotesi della cd. contraddittorietà interna dell’azione amministrativa (intesa quale specie del più ampio vizio di illogicità, può sussistere sia all’interno di un medesimo provvedimento amministrativo) e quella della cd. contraddittorietà estrinseca che si registra in particolare quando la pubblica amministrazione si determina in relazione a diversi procedimenti o provvedimenti, che presentano un nucleo di fondo in comune, in maniera logicamente incompatibile (costituendo peraltro il vizio in disamina il “..riflesso patologico della mancata applicazione del principio di coerenza dell’attività amministrativa…”).
Alla luce di ciò, il TAR ha nel caso di specie rilevato la ricorrenza di tale profilo di illegittimità del provvedimento impugnato (in cui l’amministrazione è incorsa nel vizio sintomatico dell’eccesso di potere dell’irragionevolezza, sub specie della contraddittorietà del suo agire).
4) Infine, il Collegio ha anche fatto luce sulla portata e sull’ambito di operatività dell’articolo 21 octies comma 2, seconda alinea, della legge 240/1991 il quale, con riferimento alle attività discrezionali, stabilisce che se è mancata la comunicazione di avvio del procedimento, spetta all’amministrazione dimostrare, al fine di evitare l’annullamento del provvedimento, che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso (norma invocata dall’amministrazione, nel caso di specie, a supporto della legittimità del provvedimento di revoca).
Sul punto, il TAR laziale si è soffermato sul contenuto della “prova di resistenza” postulata dalla previsione normativa e del riparto del relativo onere, osservando che, secondo un consolidato indirizzo interpretativo, “..non può essere sufficiente la semplice asserzione, come quella fatta dall’amministrazione resistente nel provvedimento impugnato, circa l’impossibilità di adottare un provvedimento di contenuto diverso. Sarebbe, di converso, necessaria una prova rigorosa delle ragioni dalle quali poter dedurre l’impossibilità di agire altrimenti (cfr. ex pluribus C.d.s. 7 luglio 2006 numero 4307)…”.
Nel caso di specie, invece, l’amministrazione si era trincerata dietro un’affermazione del tutto apodittica non avendo in alcun modo evidenziato, nella motivazione del provvedimento impugnato, le ragioni che militerebbero in favore della inutilità della partecipazione procedimentale.
Inoltre, e quanto al profilo del riparto dell’onere della prova che la lettera della legge espressamente fa gravare sulla pubblica amministrazione, il Tribunale ha rilevato che essa va comunque mitigata alla stregua del principio per cui “..la prova che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso deve essere tentata dall’amministrazione non in assoluto ma in relazione ai fatti e agli argomenti di cui il ricorrente lamenta la pretermissione a causa della mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale…”, essendo quindi il privato tenuto quanto meno “..ad allegare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione di avvio..”.
Sicché, soltanto a seguito dell’assolvimento del predetto onere di allegazione, l’amministrazione dovrà dimostrare che i fatti, gli argomenti, e le prospettazioni di interessi operate dal ricorrente erano già presenti nel procedimento, ed erano stati valutati nell’assumere la decisione, ovvero spiegare le ragioni per le quali i nuovi argomenti non la inducano a modificare la sua decisione.
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso oggetto del presente giudizio, il TAR ha rilevato che – a fronte dell’assolvimento da parte del ricorrente del predetto onere di allegazione delle ragioni che, in punto di fatto e di diritto, deporrebbero per un diverso esito del procedimento amministrativo – alcuna controdeduzione fosse stata formulata dall’amministrazione, ravvisando quindi un ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento impugnato.