Con la recentissima sentenza numero 360 del 31 gennaio 2022, la Corte d’Appello di Napoli si è pronunciata in tema di valido esperimento del procedimento di mediazione, enunciando importantissimi principi in materia di mediazione “delegata”, richiamando a tal fine gli ormai consolidati pronunciamenti della Corte di Cassazione.
I principi espressi dai Giudici di Appello.
A) La Corte Napoletana, ha innanzitutto affrontato il tema della necessaria partecipazione personale delle parti agli incontri di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda, richiamando a tal fine la soluzione interpretativa prediletta dalla Suprema Corte, per cui “..il successo dell’attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali..” (Cass. civ. Sez. III, Sent., 27/03/2019, n. 8473; in termini, Cass. civ. Sez. III, Sent., 05/07/2019, n. 18068).
Invero, non può dubitarsi del fatto che l’essenza della mediazione risiede proprio in quel “dialogo informale e diretto tra parti e mediatore” (del tutto assente nel procedimento giurisdizionale) necessario ed utile al fine di “..trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti”; è per tali ragioni che all’articolo 8 D.lgs. 28/2010 è stato previsto espressamente che “al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati”.
Per tali ragioni, “la previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato” (Cass. 8473/2019, cit.).
B) Per un secondo connesso aspetto, la Corte nondimeno rammenta che – data la mancanza di una previsione espressa in tal senso – la necessità della comparizione personale non esclude che la partecipazione agli incontri di mediazione sia una attività delegabile ad altri, e “non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore” (Cass. 8473/2019, cit.).
Tuttavia, come espressamente chiarito dalla Corte di Cassazione “..allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, …). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale” (Cass. 8473/2019, cit.).
Sicché, se è vero che la parte ben può farsi sostituite dal proprio difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, tale potere di rappresentanza non può essere conferito con la semplice procura autenticata dallo stesso difensore, atteso che “..il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore” (Cass. 8473/2019).
In conclusione, pertanto, costituisce ormai principio consolidato quello per cui “la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista” (Cass. 8473/2019, cit.).
La Corte napoletana peraltro, non si limita a richiamare tale principio, ma ne indaga altresì la ratio, precisando che essa è da rinvenirsi nel fatto che “..l’attività di mediazione è finalizzata a verificare se sia possibile instaurare tra le parti – innanzi al mediatore – un dialogo tale da consentire in quella sede la risoluzione alternativa della controversia. Ebbene tale condizione non può ritenersi soddisfatta dal conferimento della procura processuale conferita al difensore e da questi autenticata (neppure se ivi vi sia il riferimento dell’informazione alla parte dello svolgimento del procedimento di mediazione), posto che la procura processuale conferisce al difensore il potere di rappresentanza in giudizio della parte ma non gli conferisce la facoltà di sostituirsi ad esso in una attività esterna al processo – quale è appunto il procedimento di mediazione”.
Per tali ragioni, anche nell’ipotesi di mediazione delegata (e quindi di un procedimento che viene avviato su impulso del Giudice, in pendenza di giudizio già incardinato) non è sufficiente la comune procura alle liti, ancorché accordata con facoltà di compiere ogni più ampio potere processuale, considerato che “l’attivazione della mediazione delegata non costituisce attività giurisdizionale”, trattandosi di una “parentesi non giurisdizionale all’interno del processo” (Cass. civ. Sez. II, Sent., 14/12/2021, n. 40035).
La Corte sul punto peraltro osserva che è nella medesima direzione, e con indicazioni ulteriormente restrittive, che si muove anche la recente riforma della mediazione in quanto “..il legislatore delegante ha indicato tra i princìpi e criteri direttivi per il Governo delegato quello di “prevedere la possibilità per le parti del procedimento di mediazione di delegare, in presenza di giustificati motivi, un proprio rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la soluzione della controversia e prevedere che le persone giuridiche e gli enti partecipano al procedimento di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la soluzione della controversia” (art. 1, comma 4, lett. f, L. 26 novembre 2021, n. 206)..”.
C) La Corte napoletana, si sofferma inoltre sulla norma che disciplina la mediazione demandata dal giudice in sede di appello, ovvero il comma 2 dell’articolo 5 del D.lgs. 28/2010 ai sensi del quale “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Sul punto, il Collegio intanto precisa che è onere della parte appellante dar corso all’invito del Giudice (essendo tale parte quella che ha proposto l’impugnazione del provvedimento e quindi “attivato” la macchina giudiziale).
E ciò a pena di improcedibilità, in quanto “..il mancato esperimento mediazione in seguito all’ordine del giudice integra, comunque, una forma di inattività, sanzionata con la improcedibilità, alla stessa stregua di quanto avviene nell’ipotesi di cui all’art. 348 c.p.c. In sostanza, l’esperimento della mediazione in appello ha natura di atto di impulso processuale a carico dell’appellante, il quale ne è onerato a pena di improcedibilità. Improcedibilità alla quale consegue in tale prospettiva la stabilizzazione (sia pur in via indiretta ex art. 338 c.p.c.) della sentenza di primo grado..”
È pertanto onere dell’appellante “..porre in essere tutte le attività finalizzate a rendere esigibile dal giudice dell’impugnazione quella valutazione di merito delle critiche mosse alla sentenza di primo grado (App. Napoli, Sez. civ. VII, sent. 28 febbraio 2019, n. 1189), sebbene la procedura di mediazione in appello non integri “una automatica condizione di procedibilità”, ma una “facoltà del giudice di creare tale condizione” (Cass. civ. Sez. III, 30/10/2018, n. 27433; Cass. civ. Sez. III, 13/12/2019, n. 32797)…”.
Sul punto, la Corte si spinge oltre, sancendo il principio per cui, con riguardo al giudizio di appello, risulterà improcedibile l’impugnazione tutte le volte in cui la parte appellante non si attivi e/o non partecipi attivamente al procedimento di mediazione disposto ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.lgs. 28/2010, non sussistendo “..alcun meccanismo di sanatoria una volta verificatasi la decadenza dalla proponibilità della mediazione..”.
D) Quanto poi al termine entro cui la parte deve aviare la mediazione, la Corte napoletana rammenta come la Cassazione sia recentemente intervenuta per dirimere il contrasto sul punto insorto nella giurisprudenza di merito, affermando che “ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2-bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo, e non già l’avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l’ordinanza che dispone la mediazione” (Cass. civ. Sez. II, Sent., 14/12/2021, n. 40035).
Tale lettura interpretativa risulta conforme, da un lato al precipuo scopo della norma che è quello di “..favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale”, e dall’altro “..al principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all’udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell’intervallo temporale delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del quale “Il periodo di cui all’art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2..” (Cass. 40035/2021, cit.).
La soluzione del caso concreto.
Alla stregua dei superiori principi e della succitata rassegna giurisprudenziale, la Corte d’Appello di Napoli ha nel caso concreto rilevato la mancata partecipazione personale della società appellante alla procedura di mediazione.
Al primo (ed unico) incontro, infatti, risultava presente solo il difensore dell’appellante, privo di una idonea procura che gli potesse consentire di rappresentare il legale rappresentante della società appellante (l’Avvocato era infatti munito della semplice procura alle liti e non della necessaria idonea procura ad negotia che autorizzi ad agire e partecipare in nome e per conto della parte rappresentata all’incontro di mediazione, con chiara specificazione dei poteri e dei limiti).
Sicchè la Corte – rilevato tale difetto di rappresentanza – ha ritenuto non ritualmente né validamente e legittimamente esperito il procedimento di mediazione, con il conseguente omesso avveramento della condizione di procedibilità.
Di conseguenza i Giudici napoletani – precisato come la improcedibilità maturata non potesse essere in alcun modo superata disponendo nuovamente la mediazione, alla luce di quanto statuito dal comma 2 dell’art. 5 D.lgs. 28/2010 (e ciò a prescindere dalla eccezione di parte o della sua rilevazione entro la prima udienza di trattazione – cfr. App. Napoli, sent. n. 1152/2019 cit.) – hanno dichiarato l’improcedibilità dell’appello, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.